venerdì 10 dicembre 2021

PINZIRITA

Quella marea di lentiggini, perfettamente disegnate sulle sue guance pallide, le era valsa il soprannome di Pinzirita.
“ Pinzirita 'otinni a pigghiari l'acqua o' puzzu.”
“ Pinzirita, chiama 'o dutturi chi l'armali sta figghiannu ”
“ Pinzirita, vèni cu mia 'a pagghialora quannu scura ”
E Pinzirita, docile come un agnello, obbediva.
Giorno dopo giorno.
I capelli avevano quasi il colore del vello degli ovini che con fare lesto mungeva ogni mattina, quando decise di non obbedire più.
Sorda si fece.
“Pinzirita…Pinzirita ”
Ma lei non udiva.
Partì una mattina di maggio.
Chiuse le pecore nel recinto.
Si incamminò.
Mentre si abbeverava, perse l’equilibrio. Il ramo, sopra la sua testa sperò di essere afferrato.
Ma le sue mani provate da anni di duro lavoro furono poco leste e cadde in acqua.
Ancor oggi, nei giorni di sole potreste vedere le lentiggini di Pinzirita correre ribelli sulla superficie del lago.

COME LO RICONOSCI QUELLO GIUSTO?

Ce lo siamo sempre chieste, Filo ed io. Giorni passati a scambiarci le teorie più rassicuranti, assieme a quelle più assurde.
Se non ti presenta ai suoi amici entro un mese, scappa. Non è quello giusto.
Non ti ha pagato la cena al primo appuntamento? Brutto soggetto.
Poi sei arrivato tu.
Single impenitente, mi hai detto.
"Letteralmente eh, nel senso che non mi pento di essere single".
Paura di impegnarsi.
Nessuna storia importante negli ultimi anni. Curriculum vitae da tritadocumenti.
Eppure mi hai messa a nudo.
Spogliata di tutte le mie certezze.
Nessuna finzione.
Nessun segreto.
La parte peggiore di me è quella che hai conosciuto prima.
Prima delle belle parole, prima dei battiti di cuore, prima delle farfalle nello stomaco.
Hai preso le mie OMBRE tra le mani, senza scappare.
Da quasi sei anni fanno meno paura.

FIORI DI COLZA

L’erba è morbida.
Accomodati.
Sei morbida anche tu.
Il tuo silenzio, invece…ecco, il tuo silenzio è ruvido.
Mi rivolta il sistema nervoso.
Guarda laggiù.
Lo vedi?
Il sole.
Si tuffa nei campi di colza.
Nonna diceva che ogni sera il sole va a rifarsi il vestito coi petali di colza.
Magari un giorno lo racconterai anche tu, a tua figlia.
Se solo tu avessi una voce.
E’ fortunato il sole.
Non esistono campi di colza per cuori infranti, ridotti a POLPETTE.
Come quelle che faceva nonna.
Nuotavano nel sugo e nell’olio.
Rosse.
Sangue.
Troppe volte lungo le mie cosce strette, incrociate a forza, piastrine ribelli sono scivolate via portando con se’ brandelli di cuore. Il mio.
Per questo odio i tramonti.
Rossi.
Fanno male i tramonti perpetui, senza un’alba.
Sei morbida.
Il tuo silenzio graffia.
Sanguina.
Come un tramonto che non saprò amare mai.

MADRE

Quando varcò la soglia di quella che era stata la sua casa, il tempo le presentò inesorabile la sua parcella. Il mostro si svegliò. Sonnecchiava da anni e fu felice di risalire indisturbato verso i polmoni.
Valeria inspirò e le narici si riempirono di ricordi.
Risate.
Passi incerti.
Ginocchia sbucciate.
Cuori gocciolanti.
Sul tavolo un libro: “Io, eccetera”.
Sorrise.
Ripensò al momento in cui lo aveva acquistato al mercatino di libri rari, il giorno prima che Marco le urlasse: “ti odio, mamma!”
Non lo aveva mai letto.
Buffo ritrovarlo proprio ora.
Passò davanti a uno specchio, faticando a riconoscersi.
Non era più la donna che aveva camminato in quelle stanze.
E non sapeva chi era diventata in quegli anni.
Due occhi la scrutarono.
In loro si vide.
Madre.
Anche se era partita, mai se ne era andata.
Il mostro le tolse il respiro, l’ultimo.
Marco le sussurrò: “Ti voglio bene, mamma!”

PENSIERI IN PROCESSIONE

L’Adda è il luogo in cui mi rifugio quando ho bisogno di prendere i pensieri e buttarli in ammollo. Mi siedo sul lungofiume, in una piccola spiaggia di ciottoli e ghiaia guardando l’orizzonte.
Afferrare il bandolo, nella mia testa aggrovigliata, richiede una certa fatica. Innanzitutto serve allontanare il dolore inutile. Ho sempre creduto che tutte le sofferenze avessero una precisa missione nella vita. Poi mi sono scontrata con l’inutilità di certi dolori. Quelli che mi costruisco, che acciuffo e trattengo senza motivo. Il gomitolo si fa via via più fluido ad ogni allontanamento.Srotolo paure, paranoie, fantasmi, mostri. Alcuni li scaccio, altri, appena liberi, decidono di andarsene da soli. Quelli che vogliono restare devono sottoporsi al rito del lavacro. L’acqua scioglie le croste, cancella le macchie, ammorbidisce, rigenera. Stesi al vento i pensieri prendono fiato, distendono il respiro. Risalgono la mente come processionarie appena venute al mondo.

MARIO

Mi piace pensare di non essere mai nato.
Così posso dire che oggi, 10 settembre, non sono morto.
Il 9 marzo del 1939 ho messo piede sul pianeta Terra, nel corpo di un neonato.
A marzo c'è sempre vento.
Non quella mattina.
Mamma diceva che sono arrivato per rubare il pane di bocca ai miei fratelli. Forse per questo ho il vizio di portare via qualcosa di prezioso alle persone che amo.
A mia moglie, quando me ne sono andato, ho strappato il cuore.
Non me ne sono accorto perché ero impegnato a donare il mio ad un’altra donna.
I miei figli oggi non sono venuti.
Ancora mi rimproverano di aver tolto loro il cognome per darlo al bastardo, così lo chiamano.
Lui però oggi mi ha accarezzato la fronte gelida.
Come se avesse dimenticato quello che gli ho rubato.
Si è alzato il vento.
Domani sarò cenere.
Volerò lontano.

IL SORRISO DI MIA MADRE

Alla mia prima tormenta di neve, mamma era uscita di corsa.
Doveva chiudere il fienile, salvare gli attrezzi di papà rimasti a terra dal giorno in cui due soldati lo avevano prelevato.
Dovevo badare che il fuoco non si spegnesse e a mia sorella.
Lei dormiva e la fiamma nel camino ballava a ritmo di jazz.
Aprii la porta e mi precipitai da mamma, in tempo per vederla sorridere, prima che una trave del fienile me la portasse via.
Non fu l’ultima volta in cui vidi il suo sorriso.
Viaggiare coi più grandi musicisti olandesi fu un privilegio.
Quando arrivai ad Auschwitz c’era la neve, una bufera.
Molti di loro continuarono a suonare nel campo. I soldati erano ammaliati, certi capivano il jazz e non osavano sparare.
Un militare delle SS ordinò: “Musicisti, un passo avanti!”
Avanzai con loro.
L’ultima cosa che vidi fu il sorriso di mia madre.